s [ Pobierz całość w formacie PDF ]

barca.»
«Ma ci lasceranno andare?» disse un altra.
«Sai bene che la festa l organizziamo come piace a noi.»
«E se Frantz torna già stasera, con la fidanzata?»
«Ebbene! Farà quello che vorremo noi!»
«Si tratta di un matrimonio, non c è dubbio,» si disse Agostino. «Ma sono i
ragazzi a dettar legge qui? Strano posto!»
Decise di uscire dal nascondiglio per chiedere ai ragazzi dove trovare da
mangiare e da bere; si alzò in piedi e vide l ultimo gruppo che si allontanava. Erano
tre fanciulle con tunichette che arrivavano al ginocchio, e graziosi cappelli a nastri;
una piuma bianca spenzolava sul collo a tutte e tre. Una, mezza girata, china un po in
avanti, ascoltava la compagna che le dava spiegazioni alzando il dito.
«Le spaventerei,» si disse Meaulnes, dando un occhiata alla sua blusa rustica
tutta strappata e al goffo cinturone di collegiale di Sant Agata.
Nel timore che i ragazzi potessero incontrarlo ritornando per il viale, continuò
ad avanzare fra gli abeti in direzione della «colombaia», senza stare troppo a pensare
a ciò che avrebbe chiesto una volta là. Ai margini del bosco, poco dopo, gli sbarrò la
strada un muretto muschioso. Al di là, fra il muro e le dipendenze della proprietà, un
cortile lungo e stretto era zeppo di carrozze, come la carte di una locanda in giorno di
fiera. Se ne vedevano di ogni genere e forma: piccole carrozze eleganti a quattro
posti, le stanghe all aria; giardiniere; vetture dei tempi dei Borboni con cielo a
modanature; perfino vecchie berline con i vetri alzati.
Meaulnes, nascosto dietro gli abeti, per paura che lo ve dessero, guardava tutta
quella baraonda, quando scorse, dall altra parte del cortile, proprio sopra il sedile di
un alta giardiniera, la finestra di un rustico socchiusa. Una volta due sbarre di ferro,
come quelle che si vedono alle impannate sempre chiuse delle scuderie, sul retro
delle proprietà, dovevano tappare quell apertura; ma il tempo le aveva sconficcate.
«Entrerò di lì,» si disse Meaulnes, «dormirò sul fieno e ripartirò all alba, senza
spaventare quelle belle bambine.»
Scavalcò il muro a fatica per via del ginocchio ferito e saltando da una carrozza
all altra, dal sedile di una giardiniera al tetto di una berlina, arrivò alla finestra e ne
spalancò l imposta senza rumore, come una porta.
Non era un fienile ma uno stanzone basso, che doveva servire da camera da
letto. Nella semioscurità del crepuscolo invernale, il tavolo, il caminetto, perfino le
poltrone apparivano carichi di enormi vasi, ninnoli preziosi, vecchie armi. In fondo
alla stanza, un tendaggio nascondeva presumibilmente un alcova.
Meaulnes aveva richiuso la finestra, sia per il freddo, sia per timore d esser
scorto da fuori. Andò a sollevare il tendaggio in fondo alla stanza e vide un gran letto,
basso, coperto di vecchi libri dal taglio dorato, liuti dalle corde spezzate, candelabri,
buttati lì alla rinfusa. Spinse tutti questi oggetti nel fondo dell alcova e si stese sul
letto per riposare e insieme riflettere sulla strana avventura nella quale si era
invischiato.
Un silenzio profondo dominava su tutto; solo a tratti arrivavano i gemiti del
gran vento di dicembre.
E Meaulnes, sdraiato, cominciava a chiedersi se, a dispetto di tutti quei curiosi
incontri, delle voci infantili nel viale, delle carrozze stipate, quella non fosse poi,
semplicemente, una bicocca abbandonata nella solitudine dell inverno, come aveva
creduto da principio.
Poi gli parve che il vento portasse il suono di una musica lontana, come un
ricordo pieno di fascino e di rimpianto. Rammentò quando sua madre, ancora
giovane, si sedeva al piano in salotto, nel pomeriggio; e lui, zitto, dietro la porta del
giardino, ascoltava fino a sera...
«Non si direbbe che qualcuno stia suonando il piano, chissà dove?» pensò. Ma
lasciò la domanda senza risposta. Sfinito, il sonno lo prese subito...
12 - La stanza di Wellington
Era notte quando si destò. Intirizzito, si rivoltolò sul giaciglio, spiegazzando e
arrotolando sotto di sé la blusa nera. Una debole luminosità glauca tingeva le cortine
dell alcova.
Meaulnes si sedette sul letto e sporse la testa fra le cortine. Qualcuno aveva
spalancato la finestra e appeso nell apertura due lanterne veneziane verdi.
Meaulnes ebbe appena il tempo di gettare un occhiata, che udì sul pianerottolo
dei passi soffocati e un parlottare a bassa voce. Si rituffò nell alcova e le sue scarpe
chiodate urtarono, facendolo risuonare, uno degli oggetti di bronzo che aveva
ammucchiato contro il muro. Per un momento, preoccupate, trattenne il respiro. Lo
scalpiccio si avvicinò, due ombre scivolarono nella stanza.
«Non far rumore,» ammoniva uno.
«Ah, ma è tempo che si svegli,» ribatteva il secondo.
«Hai addobbato la sua stanza?»
«Ma certo, come tutte le altre.»
Il vento sbatté l imposta spalancata.
«Guarda,» disse il primo, «non hai neppure chiuso la finestra e il vento ha già
spento una lanterna. Bisognerà riaccenderla.»
«Bah,» rispose l altro, con il tono di chi cede di colpo a una scoraggiata
pigrizia, «a che servono tutte queste luminarie dal lato della campagna, bisognerebbe
dire dal lato del deserto? Nessuno le vede.»
«Nessuno? Ma per buona parte della notte arriverà ancora gente. E di lontano,
venendo per la strada con le loro vetture, si rallegreranno nel vedere i nostri
lampioni.»
Meaulnes udì lo scrocchio di un fiammifero. L ultimo a parlare, che pareva il
capo, ripigliò strascicando la voce come un becchino di Shakespeare:
«E tu metti delle lanterne verdi nella stanza di Wellington! Magari le metteresti
pure rosse... proprio non ne sai più di me...» Silenzio.
«... Wellington non era americano? e allora! Forse che il verde è un colore
americano? Dovresti saperlo, tu, il commediante, uno che ha viaggiato.»
«Proprio!» rispose il «commediante», «viaggiato, eh? Sì, ho viaggiato! ma non
ho veduto niente. Cosa vuoi vedere, inscatolato in un carrozzone?»
Cautamente Meaulnes sbirciò fra le cortine.
Quello che dava ordini era un omaccione a capo scoperto, avviluppato in un
grande tabarro; aveva in mano una lunga pertica cui erano appese lanterne
multicolori, e tutto pacifico, le gambe accavallate, guardava il compagno darsi da
fare.
Quanto al commediante, era il figuro più miserando che si possa immaginare:
lungo, magro, scosso da brividi, gli occhi verdicci e loschi, i baffi spioventi sulla
bocca sdentata gli facevano una faccia da annegato che sbava acqua. Era in maniche
di camicia e batteva i denti. Nelle parole, nei gesti, si svelava il più completo
disprezzo di se stesso.
Dopo aver riflettuto un momento, tra amaro e sardonico, si accostò al
compagno e spalancando le braccia gli confidò: «Che vuoi che ti dica? Non mi so
capacitare che siano venuti a cercare dei rifiuti come noi per servire in una festa come
questa! Ecco quel che penso, amico!»
L omaccione non badò neanche a questo sfogo, continuando a sorvegliare il
lavoro, le gambe sempre accavallate; poi sbadigliò, stronfiò e voltandosi, la pertica in
spalla, si avviò dicendo: «In marcia. E ora di vestirsi per il pranzo.»
L altro lo seguì ma passando davanti all alcova contraffece una riverenza e con
intonazione beffarda recitò: «Bell Addormentato, su, si svegli, si vesta da marchese
anche se è uno scalcagnato come me; e venga giù alla festa in costume, perché così
piace a questi signorini e a queste madamigelle.»
Poi, sul tono di un imbonimento volgare, con un ultima riverenza: «L amico
Maloyau, addetto alle cucine, farà la parte di Arlecchino e il suo umile servitore
quella di Pierrot.»
13 - La strana festa
Non appena se ne furono andati, Meaulnes uscì dal suo nascondiglio: si sentiva
i piedi di ghiaccio, le giunture irrigidite; ma era riposato e il ginocchio pareva guarito.
«Scendere a pranzo?» pensò. «Ma sicuro: sarò semplicemente un invitato del [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

  • zanotowane.pl
  • doc.pisz.pl
  • pdf.pisz.pl
  • srebro19.xlx.pl